La contemporaneità antropologica dei luoghi e dei nonluoghi
di Elena Solito
Un luogo è per definizione antropologica uno spazio organizzato intorno a una serie di elementi oggettivi e simbolici in grado di costruire una rete complessa di possibili relazioni. Un dispositivo (reale e concettuale) che conserva tracce della sua evoluzione nel tempo, inserendosi in un complesso campo di indagine. Dal punto di vista teorico in un’accezione squisitamente augiana [1], un luogo preserva e trasferisce alcune caratteristiche specifiche: il suo essere sociale, identitario e storico [2]. Il tessuto urbano con le sue strutture e sovrastrutture, diventa l’oggetto dell’indagine riflettendo intorno agli spazi formatisi attraverso i processi di urbanizzazione dei territori. Nel suo testo Marc Augé cristallizza concetti e neologismi che tracciano la strada per un nuovo paradigma. Ragionando in maniera critica, come richiesto alla professione antropologica, l’analisi conduce a un nuovo costrutto teorico il nonluogo. Più che per opposizione binaria (di concezione strutturalista) rispetto agli spazi convenzionalmente noti come luoghi, l’autore considera i non-lieux “delle polarità sfuggenti: il primo non è mai completamente cancellato (riferendosi alla descrizione del luogo) e il secondo non si compie mai totalmente” [3]. Una teorizzazione che risale circa all’ultimo decennio del secolo scorso, in cui l’antropologo francese si avventura con il tipico approccio dell’etnologia intorno a una nuova alterità. L’indigeno, oggetto e soggetto della ricerca etno-antropologica, muta la sua identità trasferendosi nell’uomo contemporaneo come nuovo abitante di un mondo surmoderno.
In tal senso più che di postmodernità l’autore si accinge a considerare una sfera che linguisticamente rimanda al francese surmodernitè, ma soprattutto a quel concetto di sovramodernismo (un richiamo alla sovradeterminazione utilizzato da Freud e poi da Althusser [4]), esito di una società che si affaccia alla contemporaneità. Fenomeni di dilatazione spazio-temporale, di estensione dei confini e di un’accelerazione degli eventi, rappresentano un eccesso di elementi che l’autore considera una “modalità essenziale” [5] della sovramodernità. In particolare l’eccesso di tempo, di spazio e di ego corrispondono a un’amplificazione della storia e dei suoi eventi, a una sovrabbondanza di immagini del mondo restituite in un contenitore ristretto e fluido. L’uomo surmodermo-indigeno contemporaneo si ritrova immerso in un’osservazione della realtà che avviene mantenendo un distacco fisico (perché spesso mediata), tanto che Marc Augé parla di estetica della distanza.
Il luogo antropologico depositario di frontiere, storie e evoluzioni che intercorrono con i soggetti della sua occupazione (umani e non umani, oggetti e cose), si carica di senso e valori. La geografia dei luoghi incorpora in sé un variegato e complesso ventaglio di questioni che abbracciano differenti campi di azione. Collocato topograficamente in un’area precisa conserva le tracce di un percorso storico e culturale, attuando così, un processo di costruzione simbolica all’interno dell’organizzazione sociologica. Se questo si riconosce in uno spazio fortemente caratterizzante perché capace di raccontare delle storie, il nonluogo è il risultato di un silenzio narrativo frutto di un processo di globalizzazione tipico delle società postmoderne. Questo fenomeno ha prodotto effetti di dilatazione spaziale generalizzata che ha portato alla creazione di spazi altri (anche se nel pensiero teorico di Marc Augé il termine spazio ha un’essenza più astratta), privi di quelle caratteristiche antropologiche menzionate sopra, in cui si ridefiniscono confini, identità e inevitabilmente relazioni tra i soggetti che partecipano all’esperienza.
Stazioni, aeroporti, alberghi, grandi spazi commerciali, autostrade oppure aree di passaggio privi di una funzione apparente, sono espressione di quel neologismo cui fa rifermento l’autore. Questi sono il risultato della riformulazione urbanistica e architettonica delle città, che riproduce modelli nella loro (spesso) serialità strutturale e nel loro funzionamento, in ogni angolo del mondo globalizzato. Spazi anonimi e vuoti “soprattutto vuoti di significato […] luoghi non colonizzati e luoghi che nessuno desidera […]”[6], attraversamenti che seppur carenti delle caratteristiche storiche, identitarie e sociali, acquisiscono una nuova familiarità.
L’uomo surmoderno nella consuetudine dell’esperienza che ne fa, ritrova un’insolita confidenza con questi paesaggi apparentemente inerti: luoghi di transito che “scoraggiano l’idea di “insediarvisi” [7], diventano destinatari di nuovi rituali che si realizzano attraverso comportamenti codificati e che nel loro insieme contribuiscono alla costruzione di una comunità indistinta che produce effetti sull’individualità. Essere presente diventa espressione di una condizione che accomuna la massa blumeriana [8]. Prendere un aereo, un treno, andare in un centro commerciale, dormire in un albergo, sono momenti che sanciscono la propria esistenza nell’organizzazione sociale. In un certo qual modo, permettono il riconoscimento all’interno di una geografia collettiva, seppur in una dimensione identitaria straniante.
Nel saggio del 1992 Marc Augé [9] precisa che la definizione dei nonluoghi non fosse una caratterizzazione assoluta. Secondo la sua visione avrebbe dovuto incorporare quel concetto di libertà totale di azione del soggetto (al contrario dei luoghi), ma in realtà negli stessi si configura l’esatto opposto del principio liberista. Di fatto si tratta per lo più di aree di transito con accessi controllati e sottoposti a sorveglianza costante (telecamere, controllo documenti, ecc…) e rappresentano piuttosto uno “spazio di attesa” [10]. L’osservazione di quest’ultimo aspetto conduce a risultanze interessanti. L’attesa si esprime non solo nell’oggettualità dei suoi elementi costitutivi (aspettare un treno, un aereo…); ma anche nei contatti con l’alterità, in virtù di un fondamento possibilista che questi ambienti concedono. Stazionamenti temporanei che accomunano le esistenze con automatismi e rituali dell’attesa, in cui si definisce una condizione che conduce a uno stato di sospensione. Una circostanza che ricorda la fase liminare di memoria antropologica [11], in cui rinegoziare il proprio perimetro identitario attraverso l’incontro con l’altro necessario alla formazione del sé; il superamento di tragitti, itinerari, incroci e scontri tipici dell’imprevedibilità degli eventi, innescando quei principi di casualità o causalità. Proprio per questa sua natura il nonluogo rimane una zona di confine affascinante per il ricercatore. Potenzialmente ognuno di quegli spazi conserva un potere trasformativo permettendo una narrazione fluida e la costruzione di una storia possibile, grazie a approcci culturali, urbanistici e a visioni contemporanee.
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note
[1] [2] [3] Augé M., nonluoghi, Introduzione a una antropologia della surmodernità con una nuova prefazione dell’autore, Elèuthera, Milano, 1993, 2009
[4] In psicanalisi è la condizione di ciò che è determinato da una pluralità di fattori, con fenomeni inconsci (sogni, lapsus, ecc…) studiati da Sigmund Freud e da Louis Althusser.
[5] Augé M., L’antropologo e il mondo globale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014
[6] [7] Bauman Z., Modernità liquida, Editore Laterza, Bari, 2011
[8] Blumer H. Psicologo sociale e sociologo americano (1900-1987) approfondisce il concetto di massa: che definisce “composizione eterogenea di individui anonimi tra i quali c’è interazione ma poca organizzazione”, diversamente dal pubblico “gruppo di persone che affrontano un problema, mentalmente divise circa la soluzione, ma accomunate dall’apertura di un dibattito in vista della stessa” (1946), in grado di formare un’opinione pubblica.
[9] [10] Augé M., L’antropologo e il mondo globale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014
[11] Van Gennep A., I Riti di Passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 2012; Turner V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna, 2013
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Elena Solito
Biografia
Scrive storie di persone e “nonluoghi” dell’arte. In particolare è interessata a indagare l’esperienza estetica come fatto antropologico, capace di dilatare il suo spazio fisico e concettuale, attivando dialoghi inattesi e sottraendosi agli spazi più tradizionali. La scrittura acquisisce una dimensione autonoma, diventando materiale di osservazione e di riflessione intorno a possibili (e non univoche) narrazioni della contemporaneità. Autrice indipendente e membro di redazione di FormeUniche.