Vagareai margini
di co_atto
“Vagare ai margini” è la prima residenza d’artista in vetrina promossa da co_atto. Parlare di residenza in uno spazio come quello del passante ferroviario è di per sé un ossimoro, ed è proprio attraverso l’accostamento paradossale di concetti come quelli di “residenza” e “passante” che scaturisce e prolifera la riflessione di co_atto.
Ma che cosa significa “vagare”? E che cosa significa “margine”? Il termine “vagare”, dal latino vagus, etimologicamente richiama concetti di erranza, di indeterminatezza, di instabilità. Di vaghezza. Quello del passante e, quindi, quello delle vetrine, sono luoghi di passaggio, di transito, di frenetico movimento, spazi precari e provvisori. Se concepite in termine di “margini”, le vetrine sono uno spazio di bordo: lo sono concretamente, in quanto non sono stanze, ma nicchie in una parete di un corridoio, e lo sono qualitativamente, come luoghi marginali, di poca importanza, senza utilità o funzione specifica.
Il filosofo Marc Augé probabilmente le avrebbe definite un non-luogo, ossia uno spazio privo di identità, di relazioni, di storia, la cui dimensione temporale è completamente focalizzata sul presente, un presente precario, sfuggevole, provvisorio, di passaggio. I non-luoghi, per Augé, sono uno specchio dell’individualismo solitario che caratterizza la società attuale del consumo, che dimensioni come quella del passante ferroviario bene esprimono, con il suo frenetico via vai di individui dalle più disparate estrazioni sociali, fruitori inconsapevoli obbligati a scontrarsi con le vetrine di co_atto.
Il tema della fruizione di questo spazio è di primaria importanza. L’unica funzione che assolve è quella di collegamento: nessuno permane in questo spazio spazio, questo spazio non è di nessuno, nessuno si identifica in esso, nessuno lo abita, nessuno vi ha una consuetudine, una frequentazione definita. E se uno spazio diventa un luogo quando un individuo o una collettività lo elevano a propria “abitazione”, quando in esso è riconoscibile un’identità o una storia, abitare uno spazio come quello delle vetrine significa davvero renderlo un luogo, un luogo connotato e connotante, uno spazio puntiforme e paratattico, architettonicamente affascinante e visivamente imponente, con una sua identità, una sua storia. Una sua forma di riconoscimento.
È attraverso questi temi – il vagare, il margine, l’abitare – che scaturisce l’idea di una residenza come quella di co_atto, una residenza (dal latino re-sidere, trattenersi in un luogo, sedersi) che è un abitare un non-luogo, un margine (dal latino habitare, forma frequentativa del verbo habere, in italiano avere: letteralmente continuare ad avere e più comunemente avere consuetudine in un luogo).
È una sfida posta a dieci individui, che con la loro presenza duratura nello spazio della stazione lo modellano a loro immagine e somiglianza. Diventano loro stessi la misura umana di uno spazio dall’identità incerta.
Il senso di organizzare una residenza d’artista in vetrina è proprio quello di far lavorare gli artisti e le artiste a stretto contatto con questo luogo | non-luogo, cercando di capire se sia possibile stabilire un dialogo con esso e con il pubblico che lo frequenta, provando a coinvolgerlo o, perché no, provocarlo.