Viaggi nel tempo e ippocampo:com'è organizzata la nostra memoria
di Lidia Barbati
La memoria è la funzione psicologica che più ci caratterizza come individui e permette di dare un senso di unità e continuità alle nostre esperienze.
Quando si parla di memoria, spesso il riferimento cui ci orientiamo è quello corrispondente alla cosiddetta “metafora spaziale”: la memoria è vista come uno spazio in cui le informazioni vengono immagazzinate; le memorie verrebbero quindi ricercate e localizzate, come i file di un archivio.
Numerosi sono stati gli approcci allo studio della memoria, dell’apprendimento e dell’oblio. A partire dagli anni Settanta del Novecento, l’approccio divenne sempre più conforme ai canoni di quello che verrà poi definito “cognitivismo”, la cui prospettiva – nata per elaborare la ristrettezza delle spiegazioni comportamentiste basate sul binomio stimolo-risposta – poneva in analogia l’elaborazione delle informazioni operata dalla mente a quella operata dai computer. Estendendo l’analogia, possiamo dire che la memoria umana comprende uno o più sistemi di immagazzinamento e, come qualunque sistema di memoria (sia esso fisico, elettronico o umano), richiede tre fondamentali capacità: la capacità di codificare, cioè di immettere l’informazione nel sistema, la capacità di immagazzinare tale informazione e, successivamente, la capacità di trovarla e recuperarla.
Ma facciamo un passo indietro, spostandoci nel tempo e nella “prospettiva”: nel 1924 Sigmund Freud scrive una nota sul Wünderblock, o “notes magico”. La sua riflessione metteva a confronto diversi tipi di supporto: la carta – che permetterebbe una registrazione permanente del ricordo a discapito, però, di una rapida esauribilità del supporto e dell’impossibilità di cancellare memorie non più utili se non mediante la perdita del supporto stesso – e la lavagna, che permetterebbe di disfarsi facilmente delle informazioni non più necessarie ma con un importante limite relativo alla disponibilità della superficie che funge da supporto. Nessuno di questi supporti avrebbe un’analogia con l’apparato psichico, che, al contrario, è in grado di produrre tracce mnesiche permanenti ed ha capacità illimitata. La riflessione di Freud si sposta quindi all’analisi del “notes magico”, un taccuino in voga all’epoca in cui era possibile cancellare gli appunti scritti attraverso un movimento. Il meccanismo era semplice: una tavoletta di cera o resina era ricoperta da un foglio di carta incerata, protetto da un foglio di pellicola celluloide trasparente. La scrittura era possibile mediante un punteruolo che faceva aderire la carta incerata alla cera sottostante, rendendo visibili le scritte. Sollevando manualmente il foglio cerato, il contatto di quest’ultimo con la tavoletta veniva interrotto, e ciò che era stato appuntato scompariva, restituendo una superficie pronta ad un nuovo uso. Ad una attenta analisi, tuttavia, la tavoletta di cera sottostante portava le tracce delle incisioni precedenti: le scritte non sembravano essere sparite, ma erano ancora lì, seppur non visibili. Analogamente, l’apparato psichico umano avrebbe uno strato deputato alla percezione degli stimoli, che non darebbe origine a tracce mnesiche permanenti – le quali si costruirebbero, invece, in un sistema adiacente e non sempre accessibile alla coscienza (Freud vedeva nella tavoletta di cera un analogo dell’Inconscio).
Ma cosa ha a che fare il “notes magico” di Freud con i più moderni modelli di spiegazione dei processi mnesici? Sicuramente la distinzione fra la possibilità di ritenere il materiale per un breve tempo ed il suo consolidamento permanente: pur perseguendo la dimostrazione delle sue teorie circa la presenza di ricordi inconsci non necessariamente presenti alla coscienza, Freud ha dato una immagine della memoria che, in qualche modo, riflette ciò che noi oggi sappiamo anche da una serie di studi sperimentali, sia su soggetti sani che su pazienti neuropsicologici (che presentano disturbi di memoria a causa di eventi che hanno compromesso l’integrità e/o la funzionalità di determinate strutture cerebrali).
Per lungo tempo, il modello di memoria cui si è fatto più riferimento è stato il modello modale: le informazioni sarebbero primariamente elaborate dalla memoria sensoriale (della durata di alcuni millisecondi, le cui tracce contengono una rappresentazione basata sulle informazioni sensoriali uditive e visive); successivamente le informazioni selezionate dai processi attentivi passerebbero al magazzino di memoria a breve termine (che permette una ritenzione del materiale da alcuni secondi a diversi minuti). Se l’informazione viene reiterata, può passare nel magazzino di memoria a lungo termine, all’interno del quale la traccia viene conservata in maniera permanente. Di fatto però, lo studio di casi neuropsicologici ha evidenziato un limite di questo modello, perché la capacità della memoria a breve termine si è rivelata indipendente da quella della memoria a lungo termine. La storia di un paziente americano, identificato con le lettere H.M., è diventata paradigmatica per lo studio e la comprensione dei meccanismi di memoria. H.M. era un paziente affetto da epilessia resistente ai trattamenti farmacologici, il quale, nel tentativo di risolvere la sua condizione invalidante, si sottopose ad un intervento chirurgico volto ad asportare bilateralmente (cioè in entrambi gli emisferi) quella porzione di encefalo dalla quale gli attacchi epilettici si generavano: il lobo temporale mediale. A seguito dell’operazione, pur riscontrando dei benefici in relazione all’epilessia, H.M. sviluppò una grave forma di amnesia anterograda: non era più in grado, cioè, di formare nuovi ricordi a lungo termine. Era presente anche un lieve grado di amnesia retrograda, relativa al ricordo di esperienze precedenti l’evento cerebrale (non ricordava informazioni relative gli ultimi sei mesi precedenti all’intervento). Quello di H.M. fu un caso lungamente studiato e fu fondamentale per la comprensione dell’associazione fra strutture cerebrali e funzioni mnesiche: l’ippocampo e le strutture limitrofe del lobo temporale mediale erano coinvolti nella formazione delle memorie esplicite e nel consolidamento a lungo termine delle informazioni della memoria a breve termine. H.M., tuttavia, non presentava difficoltà di memoria a breve termine, né di apprendimento procedurale (cioè la sua prestazione in prove di apprendimento di compiti motori miglioravano come quelle dei soggetti sani). Altri casi di pazienti con lesioni cerebrali esitanti in difficoltà di memoria hanno evidenziato una dissociazione fra abilità di memoria a breve termine e di memoria a lungo termine (come nel caso del paziente E.E., che aveva un quadro clinico speculare a quello di H.M., rivelando una ridotta capacità di memoria a breve termine ma una memoria a lungo termine intatta). Ciò ha portato gli studiosi a rivedere il modello modale, alla luce delle informazioni che contraddicevano l’idea per cui il consolidamento a lungo termine passasse necessariamente da una ripetizione delle informazioni in memoria a lungo termine. È attualmente condivisa la validità del modello della memoria di lavoro, che postula la presenza di un magazzino a capacità limitata in grado di ritenere le informazioni per breve tempo e, allo stesso tempo, di eseguire operazioni mentali sulle informazioni (un magazzino che mi renda in grado, ad esempio, di tenere a mente un numero di telefono quel tanto che mi basta per comporlo e che mi permetta di fare a mente una moltiplicazione a due cifre). La memoria di lavoro non sarebbe unitaria, ma divisa in un circuito fonologico-articolatorio (formato da un magazzino acustico per gli input uditivo-verbali in entrata e da una componente articolatoria che consente il ripasso e la ripetizione subvocalica – a mente – del materiale) ed in un taccuino visuo-spaziale (che invece è in grado di creare una rappresentazione a breve termine delle informazioni secondo un codice visivo e/o spaziale). Un ulteriore meccanismo, chiamato esecutivo centrale, opererebbe in funzione di coordinamento e controllo e permetterebbe l’interazione fra i due sistemi della memoria di lavoro e la memoria a lungo termine.
Come sarà facile immaginare, anche la memoria a lungo termine non è un’entità unica ed indivisibile, ma è anch’essa ripartibile sulla base del tipo di informazioni ritenute. Una prima distinzione riguarda la memoria esplicita vs. memoria implicita. La prima ha a che fare con le informazioni cui generalmente pensiamo quando parliamo di ricordi: eventi, informazioni, conoscenze di cui siamo consapevoli. La seconda, invece, ha a che fare con quelle situazioni in cui c’è stato un apprendimento che influenza le nostre prestazioni, senza che questo si traduca necessariamente in un ricordo esplicito: pensiamo all’andare in bicicletta o alla facilità con cui leggiamo il corsivo di un amico semplicemente perché siamo stati esposti per lungo tempo alla sua grafia. La memoria esplicita può, a sua volta, suddividersi in memoria episodica – che contiene i ricordi di specifiche esperienze personali, legate a specifici luoghi o momenti (ad esempio, le vacanze al mare dello scorso anno) – e in memoria semantica, che riguarda le conoscenze che abbiamo sul mondo, sugli oggetti o sui fatti che abbiamo imparato (ad esempio, che il limone è giallo e aspro e che la capitale della Francia è Parigi). I ricordi non sono necessariamente codificati in una oppure nell’altra, ma possono godere di codifiche multiple (ad esempio, posso sapere che Parigi è la capitale della Francia e ricordare la lezione di Geografia delle scuole elementari in cui la maestra ha spiegato questa informazione). Un tipo particolare di memoria, la memoria autobiografica, immagazzina fatti e eventi relativi alla vita dell’individuo in relazione ad informazioni sia episodiche che semantiche, unificando le diverse esperienze di vita in un’ampia rete di significati che riguardano la conoscenza di noi stessi, del mondo e delle relazioni sociali.
Anche la memoria implicita contiene differenti tipi di memorie: quelle procedurali, sia motorie (come l’andare in bicicletta) che cognitive (come la lettura), il priming percettivo (che determina un cambiamento nella risposta ad uno stimolo correlata ad una precedente esposizione allo stesso, senza che le persone siano consapevoli dell’effetto che il primo stimolo ha avuto sull’elaborazione del secondo; si pensi al branding sensoriale dei prodotti nel marketing pubblicitario), il condizionamento classico (come quello dell’ormai famoso cane dello studioso russo Pavolv, che, apprendendo l’associazione fra il suono di un campanello e l’arrivo del cibo, in risposta al quale si osservava una naturale risposta di salivazione, mostrava poi una salivazione aumentata al solo suono del campanello) e l’apprendimento non associativo (che determina fenomeni quali l’assuefazione e la sensibilizzazione a determinati stimoli).
Senza avere la pretesa di aver coperto quanto conosciuto attualmente sulla struttura e sulla funzionalità della memoria, è suggestivo chiudere questo breve – ma non troppo – excursus pensando alle nostre funzioni mnesiche come ad un “viaggio nel tempo”: così diceva lo psicologo americano Tulving, esponente di spicco nello studio della memoria, per il quale “ricordare” può essere paragonato ad un viaggio mentale nel tempo, alla ricerca di eventi accaduti nel passato o nella proiezione di eventi futuri a partire dalle conoscenze possedute nel nostro bagaglio personale.
Bibliografia:
– Neuroscienze Cognitive – M.S. Gazzaniga, R.B. Ivry, G.R. Mangun; ediz. italiana a cura di Zani, Mado Proverbio; Zanichelli Editore, 2015.
– La memoria – A. Baddeley, M.W. Eysenck, M.C. Anderson; ediz. italiana a cura di Cesare Cornoldi; Edizioni Il Mulino, 2011.
– Introduzione alla Psicologia – Nolen-Hoeksema, Fredrickson, Loftus, Wagenaar; ediz. italiana presentata da Cesare Cornoldi; Piccin Nuova Libraria, 2011.
– Manuale di psicologia generale – AA.VV.; a cura di Girotto, Zorzi, Edizioni Il Mulino, 2016.
BIOGRAFIA
Psicologa, Psicoterapeuta, Specialista in Neuropsicologia e Psicoterapia (titolo conseguito presso la Scuola di Specializzazione in Neuropsicologia dell’Università di Roma – Sapienza).
Dopo la laurea con lode in Neuroscienze Cognitive e Riabilitazione psicologica, si forma in diversi centri del territorio romano che si occupano di valutazione, diagnosi e riabilitazione cognitiva sia per l’età evolutiva che per l’età adulta, maturando esperienza pratica e clinica nell’ambito della sordità, grazie alla formazione e all’apprendimento della Lingua dei Segni Italiana. Attualmente lavora in ambito privato nella valutazione e riabilitazione dei disordini cognitivi e comportamentali acquisiti o congeniti.