Animare l'archivio
di Bianca Felicori
Roma, Piazzale Ostiense, una mattina di metà aprile, io e Flavia siamo fuori dalla sede di Acea Spa, tentando di ottenere i permessi per scattare un edificio di loro proprietà nella Capitale. Fa caldo ma sporadicamente veniamo colpite da piogge passeggere. Flavia è una fotografa di architettura, un’amica e una professionista da stimare. Mi racconta che tra il 2016 e il 2017, quando era ancora studentessa, ha scelto di fare il tirocinio curricolare presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD), a Roma. Una scelta non convenzionale la sua, penso. «Molti miei colleghi sono andati in studi professionali — mi dice — io invece ho preferito approfondire il settore archivistico delle raccolte fotografiche». L’ICCD è infatti una delle più importanti raccolte pubbliche di fotografia storica nazionale con alcuni milioni di fototipi che vanno dal 1840 a oggi. La capisco, le rispondo, ed apprezzo la sua scelta. Da figlia di un’archivista, non posso fare altro che lodarla. «Peccato che gli archivi vengano sempre visti come luoghi di poco conto, destinati a raccogliere materiale che risulta utile solo in caso di allestimenti di mostre». Io continuo ad annuire. Solo di recente, infatti, grazie ad una preziosa collaborazione con l’Archivio Architetto Cesare Leonardi di Modena, ho scoperto l’esistenza della giornata nazionale degli archivi di architettura. Il 14 maggio è il giorno prescelto per celebrare questi luoghi dove vengono conservati i materiali prodotti negli anni di attività dalle alcune delle figure più influenti della storia dell’architettura italiana. È un’iniziativa istituita da AAA Italia (Associazione Archivi Architettura) con l’obiettivo di valorizzare e rendere sempre più fruibile la conoscenza e la cultura del progetto custodita negli archivi. La lista degli archivi soci della AAA è infinita e vanta la collaborazione con archivi come quello di Cesare Leonardi, di Quirino De Giorgio, di Studio 65, dio Giovanni Michelucci, Fondazione Adriano Olivetti, Fondazione MAXXI e così via.
Viene spontaneo chiedersi perché gli archivi storici vengono considerati come contenitori fossilizzati nel passato e nella storia e non come luoghi da animare con attività e programmi culturali. Concetto che non permette alle associazioni stesse, come AAA, attivissime sul territorio, di farsi spazio nel programma culturale nazionale. Personalmente io ritengo sia davvero complicato trovare un metodo per superare certi cliché, ma non impossibile. D’altronde per decenni anche i musei sono stati considerati dall’opinione pubblica come luoghi atemporali dove esporre opere senza curarsi del flusso di utenza né tantomeno del numero di visitatori. Eppure oggi riusciamo a vedere come molte importanti istituzioni italiane, dalla Triennale Milano al Museo Archeologico di Napoli, sono riuscite a diventare vere e proprio macchine espositive capaci di animare non solo la propria realtà ma anche di restituire entusiasmo culturale alle città stesse. Allora perché ancora oggi gli archivi non riescono a fare lo stesso? Complici due fattori: gli archivisti non vogliono piegarsi ai nuovi modelli della società (internet, social network, attività di comunicazione, condivisione delle informazioni); il pubblico sottovaluta l’importanza del materiale storico, comunemente associato ad un’immagine di noia. C’è poi anche il problema dell’accessibilità: lavorando spesso con gli archivi e con chi li gestisce, alle volte mi rendo conto che puoi avere delle ottime esperienze, alle volte il reperimento del materiale diventa un’operazione burocratica complessa. Nel bene o nel male io credo sia necessario andare verso una revisione del processo archivistico, in modo tale che l’incredibile contenuto di questi luoghi diventi quantomeno oggetto di curiosità per un pubblico più ampio rispetto a quello degli addetti ai lavori.
Mi viene in mente Quando c’era Berlinguer, il documentario diretto da Walter Veltroni uscito nel 2014 dedicato allo storico Segretario del Partito Comunista Italiano. Il film, che racconta la vita di uno degli esponenti politici più importanti della storia del nostro Paese, contiene anche un indimenticabile monologo di Marcello Mastroianni sul tema della memoria. Recita l’attore: «la memoria va alimentata, la memoria di qualsiasi cosa, di una canzone, di un avvenimento, di un cibo anche perché poi questo cibo magari ci lega ad un momento particolare, ad un incontro, ad una festa, gli odori, un paesaggio”…Io amo la fantascienza, persino in un film di fantascienza, per esempio, in Blad Runner, il replicante soffre, soffre in una maniera struggente perché ogni replicante non ha un passato, quindi non ha una memoria e questo da la misura di quanto sia importante la memoria. Io mi ricordo, non so se l’ho letto o l’ho visto in un film, non mi ricordo dove… un canto Navaho, indiano, che dice: “Tutto quello che hai visto, ricordalo, perché tutto quello che dimentichi ritorna a volare nel vento”».
BIOGRAFIA
Bianca Felicori è architetto, ricercatrice e autrice per “Domus”, “Artribune”, “ElleDecor Italia” e “ADItalia”. Nata a Bologna e residente a Milano, ha conseguito la laurea in Architettura e Disegno Urbano presso il Politecnico di Milano con una tesi in storia dell’architettura dedicata alla confluenza tra il pensiero architettonico e quello artistico tra il 1965 e il 1976, tema letto in relazione alle pubblicazioni del critico Germano Celant sulla rivista “Casabella”. Dal 2019 porta avanti il suo progetto Forgotten Architecture, una piattaforma dove riscoprire architetture moderne dimenticate e meno conosciute in giro per il mondo. Il grande archivio formatosi negli anni di architetture dimenticate è diventato anche la principale risorsa dei suoi progetti indipendenti e delle sue collaborazioni con brand e istituzioni in qualità di moderatrice, curatrice e autrice.