Interviste su cartolina per un archivio in progress: Dialoghi dell’altrove, eppure in noi
di Arianna Desideri
Chi è che ancora spedisce le cartoline?
Nell’era pre-digitale, l’invio di un souvenir cartaceo era prassi comune di comunicazione a distanza. La cartolina stava per un gesto situato e invisibile del mittente – “guarda che bel posto! Saluti da…” – ed evocava nel destinatario un’immagine-spoiler di un racconto a venire; presupponeva un pensiero dedicato e itinerante, in assenza dell’istantaneità.
Ora le cartoline riempiono qualche area vacante sul frigo, tra ritratti sgualciti di famiglia e magneti kitsch; sono segnalibri casuali e miniature da camera, vendute nei musei come merchandising o nei negozi turistici in centro. Hanno mantenuto, dopotutto, una potenza visiva; persistono come tracce di una psicogeografia; sopravvivono al pari di una fotografia stampata, accrescendo la loro preziosità di testimonianza materica, analogico-vintage, in una “furia” di immagini online.
Ma come possiamo riattraversare oggi una loro funzione espressiva? Come possiamo farle tornare a viaggiare?
Dialoghi dell’altrove, eppure in noi è un progetto di mail art da me avviato nel 2019 e tutt’ora in corso. Consiste in una serie di interviste postali realizzate tramite cartolina e coinvolge figure afferenti al mondo dell’arte, della critica e della curatela con le quali è scattata un’affinità personale e professionale durante percorsi di ricerca e collaborazioni.
Queste le regole: come gesto di benvenuto, invio una busta personalizzata contenente la descrizione del concept, le istruzioni formali e operative, una lettera; poi, la prima cartolina con la prima domanda. Il destinatario può rispondere nelle modalità espressive che ritiene congeniali al proprio linguaggio, previo l’utilizzo della superficie-cartolina, prelevata come ready-made, détournata o prodotta ad hoc. E così via, senza scadenze o limiti temporali. Lo scambio prevede una domanda per volta; se non sarà pervenuta risposta, l’intervista si bloccherà fino al suo arrivo o all’avviso di una mancata corrispondenza da una delle due parti.
Se – prendendo a prestito la terminologia di Hal Foster – la nostra epoca è permeata da un “archival impulse”, Dialoghi dell’altrove, eppure in noi costituisce una prova in stile, e allo stesso tempo difettosa, della mania inventariale – ovvero: è una linea tremolante in un cerchio che mira ad essere chiuso, programmaticamente ma fallacemente geometrico.
Il progetto, come ogni intervento di mail art, mette in atto plurali e contraddittorie sfumature di ciò che può essere definito “archivio”. Una riflessione sul tema, indagato dal punto di vista operativo, sperimentale.
ARCHIVIO CARTOLINE
Le interviste si servono di un supporto monotipico, ovvero delle cartoline. Diceva Alighiero Boetti: “Fanno parte del nostro quotidiano, sono poco costose e accessibili a tutti. Esistono per viaggiare, per raccontare, per mostrare e procurare piacere. La bellezza e l’arte viaggiano grazie a esse”.
Ed è vero: le cartoline sono immagini proliferanti che riproducono must della cultura visiva e highlights di paesaggio, in formato tascabile, standard, seriale. Se osservate con una prospettiva tassonomica di accumulazione e montaggio, potrebbero popolare un nuovo Musée Imaginaire incredibilmente vario, nonostante la spia di obsolescenza funzionale a cui il digitale le ha condannate.
La disamina dell’iconografia stampata sul recto, nel caso delle interviste, si fa più complessa. Non è da interrogarne solamente l’esistenza di per sé, il perché di una sua riproduzione in un circuito di comunicazione ampio. Per comprendere a fondo il dialogo, è necessario infatti ricostruire anche la rete di associazioni che il mittente o il destinatario hanno voluto tessere tra l’immagine e il linguaggio, tra il fronte e il retro. Quali trame sotterranee, sottintese si intrecciano rispetto alla domanda o alla risposta? Vi è un pensiero visivo da decodificare che ricorda a tratti la sfida di lettura di un atlas – connessioni qui del tutto soggettive, singolari, private, affatto analitiche.
ARCHIVIO DISLOCATO
L’invio tramite posta è un salto nel vuoto. O meglio, è un atto di fiducia nel viaggio. Da quando si annota l’indirizzo, si appone il francobollo e si imbuca nella cassetta, la cartolina inizia a esistere come messaggio trasmigrante e autonomo rispetto al campo di interferenza del mittente. Se e quando arriverà al destinatario, essa avrà accolto su di sé gli accidenti del percorso, caricandosi di un’esperienza in assenza dei soggetti comunicanti, di un altrove che è situato nel mentre invisibile che collega l’1 al 2.
L’archivio che si va a costituire conserva inevitabilmente le tracce di ciò che accade quando non ci siamo; è il risultato dell’imprevisto e dell’errore umano, che possono generare lacune e mandare a monte una catalogazione a capienza 100%. I Dialoghi aspirano dunque alla totalità documentaria ma accettano, come corollario derivante dalle modalità di trasmissione, la variabile del frammento mancante. Un archivio inefficiente, per giunta disperso tra persone e città, esteso, riunificabile in potenza.
ARCHIVIO AFFETTIVO
La mail art è una pratica di vicinanza, l’intervista è un metodo di scoperta fondato sulla curiosità. Come indica il titolo, Dialoghi dell’altrove, eppure in noi è un canale parallelo d’intimità al di là delle piattaforme telematiche o dell’incontro saltuario dei corpi; è uno scambio in una dimensione dilatata che presuppone il desiderio e la dedica.
In questo progetto, la sopravvivenza dell’archivio, oltre che dal viaggio, dipende in larga misura dall’accuratezza che i soggetti ripongono nella conservazione del materiale. Concretamente, è un archivio diviso a metà: io preservo le risposte, gli-le intervistat* le domande. Entrambi teniamo un solo filo del discorso, che sarà ricomponibile e leggibile nella sua interezza solo se vi sarà stato il medesimo grado d’attenzione nel custodire le cartoline. Si instaura un patto di fiducia reciproca e di abban-dono, come nella xenìa greca, in vista di un futuro e possibile ricongiungimento dei tasselli.
Dialoghi dell’altrove, eppure in noi interroga l’articolazione, la funzione, il contenuto della forma-archivio, fino a metterne in pericolo l’esistenza stessa, a causa dell’alto coefficiente di dispersione e itineranza che è insito nel progetto.
Quello dei Dialoghi è un archivio affettivo poiché è il risultato di molteplici gesti di cura, dedicati nella cornice di un processo che lega emotivamente – e non solo connette – due individui lontani; è l’esito di un’intensità comunicativa lenta, sospesa, di una relazione 1-a-1, al contrario delle logiche social dell’1-a-x.
È un archivio tipologico di sole cartoline, ma che evidenzia una dialettica interna tra icona e linguaggio, tra evocazione di un immaginario e un piano logico-discorsivo. È aperto all’imprevisto e quindi accidentato, facilmente lacunoso e imperfetto. È a crescita esponenziale poiché in progress, senza un limite di partecipanti e un termine temporale. È un archivio vivo e dunque ipotetico.
Allora, non resta che chiederci: quale vita per la mail art nell’era digitale?
FONTI E RIFERIMENTI
Fluxus: selections from the Gilbert and Lila Silverman Collection, catalogo della mostra (MoMA, New York, 15 novembre 1988-7 aprile 1989), a cura di Clive Phillpot and Jon Hendricks, The Museum of Modern Art, New York 1988.
Boetti A., Il gioco dell’arte. Con mio padre, Alighiero, Electa, Milano 2016.
Foster H., An archival impulse, «October», n. 110, 2004, pp. 3-22.
Grazioli E., La collezione come forma d’arte, Johan&Levi, Monza 2012.
Home S., Assalto alla cultura. Le avanguardie artistico-politiche: lettrismo, situazionismo, Fluxus, mail art, Shake edizioni, Milano 2010.
Mereweather C., The Archive, Whitechapel Gallery-MIT Press, London-Cambridge 2006.
Perec G., Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 2018.
Simic C., Il cacciatore di immagini, Adelphi, Milano 2004.
Sontag S., Against interpretation and other essays, Penguin books, Londra 2009.
Welck C., Eternal network. A mail art anthology, University of Calgary press, Alberta 1995.
BIOGRAFIA
Arianna Desideri (1996) è una storica dell’arte e curatrice indipendente con base a Roma, laureata all’Università La Sapienza. È co-fondatrice del progetto D.A.P.A. e autrice del volume Roma 70. Interventi e pratiche artistiche nello spazio urbano (Terre Blu, 2020). Ha scritto e scrive numerosi testi, articoli e interviste per blog, riviste e volumi.