Un manifestolesto un po' sinistro
di Vincenzo Argentieri
Pare che Luigi XIV e sua moglie Maria Teresa di Spagna a lungo avessero provato ad avere figli. Il Re di Francia doveva assolutamente dare alla luce un erede al trono e affinché ciò avvenisse ogni agio era necessario. Dopo ardenti prove, finalmente un figlio arrivò e, per l’occasione, il Re Sole, contento di poter tramandare la dinastia dei Borboni, decise di dare una festa a Roma e più precisamente in Piazza di Spagna. Come una vera cerimonia reale esigeva, questa festa prevedeva non solo la partecipazione di centinaia e centinaia di inviati, ma anche l’intervento di teatranti e scenografi assunti per animare al meglio l’annuncio del neonato. Addirittura, fu chiamato Gian Lorenzo Bernini per la realizzazione di quello che era un vero e proprio teatro per la nascita del Delfino di Francia. Luigi il Delfino morì prima che potesse salire al trono. Al suo posto salì anni dopo suo nipote. Una festa inutile.
Di feste inutili ce ne sono state tante. Secoli dopo, non a Roma ma con una certa romanità, un’altra (in)festa inutile veniva inaugurata da co_atto, senza peraltro che ci fosse la nascita di nessun erede al trono. Che cosa ci fosse da festeggiare non è dato sapersi. Probabilmente la possibilità di utilizzare spazi suburbani, normalmente destinati al commercio, per renderli luoghi vivi, pieni di arte e creatività. Tuttavia, ogni vetrina è un paradosso e non c’è nulla di cui rallegrarsi. In quella di Cecilia Mentasti vi è una narrazione dell’invisibile e del suo modo di diventare fenomeno incostante, una ricerca sul nulla che mira a raccogliere gli ultimi aliti di un’arte non più viva, che accetta la sfida di guardare attraverso le trasparenze del visibile e non le circostanze della materia. A metà percorso troviamo Libri Finti Clandestini, movimento anarchico che raccoglie testi usati per inventare nuove storie che parlano di un racconto mai esistito, ma più vissuto. In un’altra si notano fili di erba che ogni giorno crescono e radicano al suo interno con la volontà di rendere lo spazio mutevole e infermo nel tempo: Noemi Mirata, costantemente innaffia i bulbi raccolti in calze adipose, un lavoro di cura, ma anche di pensiero difronte alla sostanza dell’arte.
È stato Jean Huber-Martin, pochi mesi prima della caduta del Muro di Berlino, a raccogliere al Centre Pompidou di Parigi 100 artisti le cui estrazioni culturali e provenienze geografiche prescindessero dalla “tipica” arte occidentale, per affacciarsi a un’arte meno arte, comprensiva di più forme di creatività. Esperimenti espositivi che trovano radici nelle wunderkammer rinascimentali e nelle più recenti mostre surrealiste novecentesche. L’intento è lo stesso che co_atto affronta: raccontare uno spazio attraverso l’imprescindibilità del suo tempo e del suo luogo, eterotopizzare una memoria secondo oggetti di warburgiana classificazione. in_festa unisce writers, filosofi, imballatori, designers, artisti, botanici e scrittori, mischia le discipline umane e le cataloga all’interno delle diciotto vetrine collocandole in uno spazio di passaggio.
Un interrotto coito coatto volto a manifestare un’infestazione nefasta; un manifesto lesto un po’ sinistro colto in cauta faziosità. La mostra in_festa di co_atto non è nulla di nuovo. Non è qualcosa di originale o qualcosa che può sconvolgere un sistema già sconvolto. Non rappresenta la novità, non va a raccogliere una mancanza, nessuno ne sentiva il bisogno e, anzi, forse è anche un po’ fastidiosa. È un nulla che non serve a niente, è un lavoro sprecato. Ed è proprio questo che ne determinerà il suo successo: si sa, l’arte è un linguaggio tramite cui far passare un messaggio e lo scopo degli artisti è anche quello di festeggiare la nascita di un’idea vuota, ma indefessa.