SPONTANEA: breviriflessioni sulla libertà botanica
di Benedetta Pavone
Morbidi profili collinari, pianure che si punteggiano di papaveri a primavera, vette montane innevate, il paesaggio, non semplice da definire, figura così nell’immaginario comune, legato saldamente ad una concezione di naturalità. Anche la città, che, al contrario del bosco, è fatta di cemento e asfalto, tra le cui crepe un seme trova spazio fertile per germinare, è paesaggio, e noi stessi ne siamo parte viva e attiva.Per dare una definizione razionale e ampiamente accettata, la Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 20 ottobre 2000) lo descrive così: “Il paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. È quindi il paesaggio ad essere frutto dell’esperienza umana o è l’uomo che, vivendo all’interno di esso, crea la sua cultura?L’uomo lo disegna, lo percepisce e lo definisce dandogli un nome, ne controlla le funzioni, la produttività, ma ciò non toglie che il paesaggio esiste indipendentemente dalle regole imposte. Questo modo spontaneo di adattamento, finalizzato a ritrovare un equilibrio, è dovuto, per larga parte, alla componente botanica che mostra grande sapienza nel “farsi spazio dove lo spazio non c’è”.Il testo che segue vuole essere uno strumento tramite cui riflettere sull’inscindibile rapporto tra uomo e natura, andando ad analizzare, tramite rapidi sguardi, alcuni temi ed esperienze tangibili, per giungere ad un’intuizione sul senso della libertà.
In ecologia, l’insieme degli ecosistemi crea un paesaggio globale in continuo scambio e mutamento, che oltrepassa gli oceani e regola gli equilibri dalla micro alla macro-scala. Negli studi storici, il territorio diventa elemento di indagine, da codificare tramite le sue componenti geografiche, geologiche, climatiche e così via, in quanto innesca azioni antropiche di vario genere, regolandone le trasformazioni, così come l’uomo è capace di modellarlo per sfruttare al meglio il suo potenziale.Nelle arti, quali poesia, pittura, letteratura, musica, architettura, e tutte le altre espressioni estetiche e culturali che accompagnano le trasformazioni antropiche e ne sono narratrici, la natura si pone come musa ispiratrice, stimolando l’istinto di ricerca del bello nel bello, toccando corde che sfiorano l’inconscio. Nelle stesse discipline scientifiche tutto inizia dall’osservare i fenomeni visibili, per poi studiarli e, capendone i meccanismi si genera progresso. Quello che però non emerge da questa prima analisi è la spontanea manifestazione della natura in sé: fin quando ci limitiamo a guardarla, con il nostro occhio costruito sulle tante informazioni acquisite nel corso della vita, o più in generale, dalla stratificazione temporale che crea il nostro essere uomini di oggi, avremo sempre una visione troppo condizionata dall’estetica comune, dalla voglia costante di trovare un ordine logico alle cose. La natura è rivoluzione, è la manifestazione della vita nel suo senso più puro. La si può definire un’entità concreta, fatta di equilibri stabili per quanto basta, che non ha bisogno di regole scritte perché spontaneamente le segue. È proprio con questa semplicità che si può sperimentare un nuovo dialogo con il paesaggio, un modo altro per definirlo con il nostro sguardo.
Apriamo adesso una parentesi riguardante il giardino, lo spazio recintato, definito, ma immerso nell’universo della botanica che non conosce confini spaziali. Il giardino, frutto di una visione umana, è un paesaggio antropico. Il giardiniere, o il paesaggista, costruisce un dialogo con la botanica che diventa argomento di espressione per un’estetica viva. Nel corso della storia si sono succedute tante manifestazioni di questa estetica, molto diverse tra loro e spesso in contrasto. Seguendo con lo sguardo la linea temporale che ha accompagnato le varie trasformazioni di questo specifico paesaggio antropico, ci si può accorgere di un andamento oscillante, tra il formale e il ribelle, dal geometrico al morbido.Come se lo stesso uomo venisse prima attratto dalle sue abilità per poi rifugiarsi nuovamente nella bellezza spontanea che solo la natura riesce a manifestare.Anche l’agricoltura è un tema di grande importanza per la comprensione del paesaggio, spesso siamo tesi a visualizzare come naturale anche il paesaggio agrario, che, invece, è tutt’altro: è la massima espressione dell’abilità umana di gestire la spontanea funzione della botanica per i propri scopi, con l’obiettivo del maggiore profitto nel minimo tempo. Ed ecco che qui entriamo nel merito di un argomento molto delicato, il tempo, entità nella quale siamo immersi e con la quale abbiamo instaurato una non troppo celata competizione. La dimensione temporale della botanica segue una scala molto differente da quella che noi percepiamo ed è per questo che la gestione e il controllo della vegetazione, nell’ideale antropico, devono essere costanti, al fine di rispettare una convenzionale visione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ad un albero non interessa l’apparenza, è lì per continuare ad esistere tramite una sorta di istinto volto alla collettività, alla sopravvivenza della specie, e nel fare questo produce elementi di fondamentale importanza per la vita degli altri esseri viventi. Il processo fotosintetico è quello che permette al regno vegetale di essere l’unico in grado di produrre energia senza intaccare altre forme di vita, ed è anche quello che fornisce le fondamenta per tutti i processi che costruiscono l’ecosistema terrestre. Da poco ho avuto l’occasione di partecipare ad un workshop, tenuto da Antonio Perazzi, un giardiniere, paesaggista, scrittore e filosofo italiano, il cui l’argomento centrale è stato proprio la forza della botanica espressa nella sua linea temporale: il giardino in movimento, il seme che si abbandona al vento per finire un po’ più in là, in un altro piccolo spazio fertile o in un’intercapedine del cemento. Il Workshop “Botanica Temporanea” riguardava la progettazione di un giardino, per l’appunto temporaneo, quindi di durata stagionale, che sarà inaugurato l’estate del 2021, presso Manifattura Tabacchi a Firenze. Ma è veramente attribuibile una durata fissa ad un intervento di questo genere? Riflettendoci bene, niente in botanica è temporaneo: se in questo giardino le piante fioriranno e a fine stagione sfioriranno disperdendo i semi, embrioni vitali, la traccia lasciata dal giardino rimarrà per molto tempo, magari non proprio in quel punto, forse accanto, forse al di là del muro. Chissà, solo il tempo potrà mostrarci il risultato, e noi dovremo essere pazienti e attenti a riconoscerne le tracce. Quello che però si perderà è la nostra idea del giardino, il progetto in sé,l’estetica e il criterio di gestione annesso. Tutto questo sparirà perché avremo abbandonato la natura al suo tempo. Quanto appena descritto fa riflettere sulla grande libertà che la natura, o meglio la botanica, può permettersi. L’uomo ha trovato la sua libertà nella gestione e nell’ordine, nella possibilità di esprimersi, di applicarsi nella ricerca della soluzione al problema. La botanica non ha bisogno di nulla di tutto ciò, vive, crea, distribuisce. Non ci pensa.Un’ ultima riflessione tangibile, per concludere, riguarda il paesaggio delle frastagliate coste laviche della città di Catania e dei suoi dintorni, luogo dove sono nata e cresciuta. Ci sono spazi abbandonati, sparsi qui e lì, al Sud Italia, più che nel Settentrione, come in tante altre parti del mondo.Mi soffermo spesso a guardare accostamenti cromatici e forme disordinate di quei luoghi di margine, che sono il risultato di vari fattori indirettamente connessi a quello spazio, e che aspirano a non essere definiti. Lì la gestione dell’uomo non è contemplata, esistono perché non appartengono a nessuno e connotano, in maniera inconfondibile, quella porzione di spazio geografico, rendendosi quindi necessari. Si manifestano diventando l’essenza del luogo di quel tempo. Liberi da ogni forma o canone estetico, e per questo meravigliosi.Quando osservo, su di un anfratto di scogliera lavica, una Euphorbia dendroides sbucare fuori da un cespuglio fiorito di Calicotome spinosa, abbracciata da una cascata di Malva, cerco di ascoltare quelle piante che non sono state previste da nessuno e che raccontano di un atto condiviso e resistente, di calma ribellione, di equilibrio, di una vita festosa e libera che, soltanto a guardarla, mi rende felice di essere parte di questo paesaggio.