Co-azione a ripetere.
Il cinema alla fine del cinema
di Silvio Scarpelli
In un recente articolo pubblicato su Harper’s Magazine, Martin Scorsese riattraversa la carriera di Federico Fellini per ragionare sulle condizioni del cinema contemporaneo, sulla perdita dell’aura sacrale dell’opera d’arte e il prevalere del content sulla forma. Si tratta di una questione già ampiamente dibattuta nel secolo scorso, che trova riscontro nello status quo. La figura dello showrunner ha rimpiazzato quella dell’autore e gli spettatori “navigano” – ma in realtà sono navigati – da un’immagine in movimento all’altra, senza soluzione di continuità: “Un film di David Lean, un filmino di gatti, una pubblicità durante il Super Bowl, un sequel di supereroi, un episodio di serie”. Una snack generation con limitati spazi di manovra, letteralmente infestata da immagini a portata di swipee molto spesso incapace di decifrarne la natura.
APOCALITTICI E INTEGRATI
La chiusura delle sale a causa della pandemia gonfia le schiere degli apocalittici: una parte di critici, studiosi e professionisti celebrano quotidianamente il requiescant del cinema. Una pratica che in realtà è genealogica: d’altronde, i fratelli Lumière battezzarono l’arte cinematografica “senza futuro”. Arrivata la televisione, i cavalieri dell’apocalisse individuarono l’elettrodomestico come nemico principale; con la rivoluzione del digitale, all’urlo di “non è più vero cinema!”, cambiarono obiettivo. L’ostilità quotidiana oggi si riversa sulle piattaforme e sugli algoritmi, domani chissà. Ogni cambiamento è esiziale, mai opportunità di riconsiderare criticamente l’intero processo e di trarne profitto economico e estetico, ma scoglio insuperabile che deturpa il futuro del cinema.
LA PUNTA DELL’ICEBERG
Nella schiera degli “old man yells at cloud” rientra, suo malgrado, anche il regista newyorkese quando afferma che “non esistono più autori”. Ribaltando la prospettiva, noi crediamo che gli autori non siano scomparsi e che il cinema, da un punto di vista estetico, goda di ottima salute. Il limite del discorso proposto con passione da Scorsese è che pare ignorare l’ondata di registi e creativi emersa sullo scenario internazionale, limitandosi a fare il paragone con un’epoca irripetibile del passato, la New York degli anni ’60 e le poetiche del cinema d’autore europeo, e proporre il sillogismo da boomer autore/popolarità. Il pericolo che si nasconde dietro questo ragionamento reazionario è prestoservito: ignorare chi lavora sulle forme prendendo in considerazione solo il cinema industriale, ovvero la punta dell’iceberg. Semmai, a dover essere ridefinite sono le logiche di mercato, ifinanziamenti statali alla mediocrità che, guarda caso, premiano sempre il contenuto e raramente l’innovazione.
CINEMA COME APERTURA DI SGUARDI
Che dire allora di registi come Bertrand Mandico, Lav Diaz, Lisandro Alonso, Guy Maddin, Wang Bing, Michelangelo Frammartino, Apitchapong Weeresethakul, Antoine d’Agata, Bill Morrison, AlbertSerra, Carlos Reygadas, Roberto Minervini, Miguel Gomes, ecc.? E di tutte le pratiche sperimentali che hanno allargato l’orizzonte di ricerca sulle immagini in movimento e i cultural studies a partire dal nuovo millennio? Un moloch di nomi interminabile, le cui operazioni sono legate alla ricerca teorica enelle quali l’ibridazione gioca un ruolo fondamentale. Non a caso, nel panorama audiovisivo, gli anni ’10 del nuovo millennio saranno ricordati anche per il boom di quello che in Italia è stato definito cinema del reale, un lemma che porta in grembo mistificazione e fraintendimento anche da partedegli esperti del settore. Cinema del reale inteso come spazio di ricerca e di narrazioni eterogenee, tra codificazioni e detournament, biografia e riscrittura della memoria. In questo immenso marescreziato, l’immagine ri-diventa scoperta e la sala caverna uterina dove si proiettano le ombre: squarci aperti tra i resti degli schermi che lasciano trapelare immagini bivalenti, portando l’occhio aindagare quell’inframondo nel quale ci muoviamo.
Riferimenti
M. Scorsese, Il maestro. Federico Fellini and the lost magic of cinema, in Harper’s Magazine, New York, 2021